La Riavini è diplomata all'IstitutoStatale d'Arte di Trieste, e in quella valida fucina di artigiani
apprese i segreti delle diverse tecniche e si formò una sensibilità all'impiego degli strumenti
atta a risolvere elegantemente qualsiasi difficile problema compositivo.
Avevamo avuto modo per il passato di lodare della Riavini alcune preziose tavolette esposte
in rassegne giovanili. Ella costruiva allora un paesaggio astratto giovandosi di elementi
naturalistici, disposti in uno spazio che non accoglieva più occasioni rappresentative, ma
solo il cangiante velluto delle tinte profonde o lo splendore dell'oro.
Nella presente produzione la Riavini ha instaurato, invece, un dialogo più franco e immediato
con la realtà naturale, tornando cosi, nelle formula pittorica, al desueto paesaggismo...
Giulio Montenero
Nel selezionato gruppo di giovani licenziati dal benemerito Istituto d'Arte “Nordio”Loredana
Riavini ha avuto modo di segnalarsi sin dall'inizio della sua attività professionale per la sensibile
e personale perspicacia dimostrata nellacquisire una chiave stilistica adatta a realizzare
l'infido e sottile sperimentarsi della decorazione.
Oggi tuttavia la Riavini tende ad esprimere la sostanza figurativa della lezione assunta,
rilevando pittoricamente gli sbocchi naturali della sua maturazione creativa.
Oggetto di raffigurazione in questa rassegna è il Carso triestino, zona visualmente esplorata
in profondità sin da quando l'”etablishment”culturale cittadino è uscito dalla greve aria
degli studi per dedicarsi ad attente e speculari letture all'aria aperta.
La maniera, con cui la Riavini affronta questa prova, rivela una spontaneità d'espressione
identificabile non altrimenti se non riandando a sondare nella giovane artista la sua genuina
appartenenza a quella dimensione umana così tipicamente ascrivibile allo stesso paesaggio
geologico.
Il Carso della Riavini appare quindi ad un tempo specificato fisionomicamente eppur sempre
percorso-nelle sue più scoperte vene d'ispirazione-da una gioiosa fede narrativa.
I riquadri rintracciano l'apparente staticità degli elementi ambientali, mentre nella prospettiva
complessiva della costruzione figurativa ad un raccordato sistema d'aggettivazioni
seguono immissioni estranee dovute proprio al diffondersi di quei accenti di primitiva
innocenza espressiva caratterizzanti questa fase della produzione artistica della Riavini.
Questa innocenza non va confusa però con l'assenza della necessaria malizia compositiva,
che 'queste difformità stilistiche sembrano rispondere ad un'immediato bisogno della
pittrice di farci partecipi ad un mondo di apparenze istintivamente acquisito nel suo significato
slataperiano.
Carlo Milic
Nelle sue tele, rivivono angoli ormai scomparsi, che l'artista fissa in plastiche immagini, come se volesse fermare
il tempo.
Il suo “forno a Giadreschi”oggi non esiste piu. Ma anche se è scomparso, rimave viva la suggestione delle muffe,
dei colori caldi dell'autunno-ocra e terra-la sensazione fugace di un attimo vissuto troppo in fretta.
Cinzia Rinaldi
...si inserisce attraverso la strada della pittura tradizionale.
Percorrendo i sentieri del linguaggio descrittivo, la pittrice lascia intravedere una sensibilitàe un gusto artistico
che sanno scoprire segrete dolcezze, atmosfere poetiche e imprevedibili, armonie nelle cose più banali e disadorne.
Una pittura semplice e immediata, che si affida ai colori dosati della tempera per ritrarre un mondo vivo e reale,
attraverso quadrati e rettangoli di vecchie case carsiche.
Questi brevi scorci sono il tema ricorrente dei suoi quadri:un muro di pietra corroso dal tempo, un cortile, la facciata
di una casa di campagna, figure di donne sullo sfiorire che sembrano ripetere stancamente il gioco della
vita.
La sua naturale inclinazione alla semplicità, porta la Riavini a “raccontare” il mondo con l'animo aperto e l'occhio
limpido, fermando lo scorrere del tempo nell'immobilità e nel silenzio di quelle dimore antiche.
Maria Cristina Vilardo
...fra gli espositori c'è che proviene da una formazione regolare ed ha al proprio attivo brillanti affermazioni.
Loredana Riavini ripropone anche qui una saporosa vedutina frontale sull'ingresso di una casa rustica, tema
che le è caro da quando ha ripreso a farsi vedere.
Giulio Montenero
“È raro imbattersi nell'umiltà della grande pittura e si vorrebbe incontrarla in ogni sala espositiva.
C'è il lavoro, c'è la sapienza del colore, c'è il disegno. Dite se è poco.”
Così si è espressa la critica sulla personale di Loredana Riavini, ospitata nell'agosto del 2003 dall'Azienda di promozione
turistica di Grado.
Al centro dell'esercizio della pittrice-come scrive di lei Claudio H. Martelli-i paesaggi carsici e della Dalmazia,soprattutto borgate, case, vecchie osterie, raffigurati con fresco post impressionismo nel quale il colore brillante
è ben portato, è sostenuto da disegno preciso, ma non didascalico. Si tratta di una pittura narrativa, con spunti
non privi di ironia e di autentica invenzione.
Diplomatasi all'Istituto statale d'arte, in Trieste, avendo quali docenti Predonzani, Bastianutto, Carà, Caramori e
De Gauss, Loredana Riavini espone in mostre collettive e personali ormai dal 1967, incontrando un crescente
consenso da parte del pubblico e della critica, che non le ha lesinato elogi, come quello, che ci pare particolarmente
centrato, di M. C. Vilardo:.....”la pittrice lascia intravedere una sensibilità e un gusto artistico che sanno
scoprire segrete dolcezze, atmosfere poetiche e imprevedibili armonie nei luoghi o nelle cose più banali e disadorne.”
Nelle opere della Riavini la figura umana compare molto raramente (in “Porte della memoria”non c'è mai)e la
sottolineatura di”elementi” come vetri rotti, porte scardinate, sedie sbilenche danno una prima impressione di
totale, remoto abbandono, ma i panni stesi ad asciugare che ondeggiano al vento, vasi sulle finestre, bottiglie
su un tavolo, un'insegna avvertono il fruitore attento che l'uomo è ancora presente, ma che ha voluto “cedere la
scena” alla rappresentazione di quell'ambiente che lo ha visto nascere e che lo accompagnerà per tutte le stagioni
della vita.
Gianfranco Viatori
È difficile abitualmente riuscire a sfuggire il profondo piacere che produce l'immagine, il gustoso senso di appagamento
offerto dalla rappresentazione. È consueto anzi acquisire dell'opera d'arte la soluzione più elementarmente
nota, fermando l'attenzione su quanto risulta in superficie, dalla tecnica alla composizione ed al colore,
dal disegno agli impasti. Eppure siamo perfettamente consci che l'autentica indagine sulle motivazioni del rappresentare
comporta ben altre e complesse analisi, fondate sul vissuto dell'artista per patrimonio culturale ed
esperienza nel mondo.
Ma si tratta soprattutto in tale prospettiva di ordinare le interpretazioni risultanti dai dati raccolti entro l'orizzonte
e formzione e maturazione del pittore. Nomadismo ed eclettismo, nella ricognizione dei media utilizzati e nell'assunzione
stilistica dei meccanismi di composizione, recano in se gli esiti salienti di ogni personale singolarità.
Ed ancora:il riconoscibile apprezzamento preferenziale per la ricerca, rivolta verso le radici antropologiche del
teritorio natio, non isola l'operazione pittorica nel limbo di una regressione nostalgica ed autarchica;anzi va
identificata in tale scelta l'autentica manifestazione di volontà per una sfida verso la dilatazione della riserva
culturale da cui l'artista attinge i valori a presidio della sua realtà espressiva.
Cosi appare dall'opera di Loredana Riavini, protesa a identificare i cardini rappresentativi dell'immagine che permetta
di significare sulla tela attraverso i giorni di anni senza stagioni l'idea di Natura da assimilare, vivendo,
giorno per giorno la tradizione di una cultura visiva, imprescindibile anche per l'uomo e l'artista contemporanei.
Perché l'universo ambientale della Riavini è il Carso, leggibile tuttavia non nei mitici confronti tra morfologia e fattori atmosferici, bensì nelle geometrie e nei volume degli insediamenti fissati dall'uomo nel corso di centinaia
di anni, nella rappresentazione di una fisicità non connotata negli individui protagonisti, ma attraverso il rigore
solenne di architetture d'antica memoria popolare.
Così la visione dell'artista, appellandosi alle radici natie, ma facendo del pari proprie le speculazioni espressive
frutto di una matura lezione figurativa, identifica la soluzione del proprio quesito compositivo in una sintesi,
costruita nella frontalità di mura scabre di pietra viva o rivestite di poveri intonaci, spazi celati, già divenuti edifici,
il cui volume peraltro ci è nascosto da quella barriera, difesa ed ostacolo ad un tempo. Allora l'idea di Natura
si trasforma in idea d'ambiente umanizzato, in cui si percepisce soltanto la suggestiva remota presenza, magia
solitaria che non ha padroni, ma può essere solo di tutti coloro che qui da sempre, generazioni dopo generazioni,
hanno messo radici.
Al di là della notazione degli spazi preclusi, naviga in superficie il segno lasciato dalle piccole cose, che non sono
evidenze archeologiche, ma testimonianze indicatrici di un costume culturale rigorosamente legato ad un
modello senza tempo.
Domina tale costruzione d'immagini lo sguardo del soggetto:il pittore infatti legge l'esistente, in una sorta di
sospensione del momento narrativo;la magia offre un anelitoche apre all'artista dei varchi verso il nocciolo più
oscuro e profondo, dove si cela il senso più antico e chiuso del viver carsico.
Così il tempo della pittura della Riavini è fortemente centripeto, permettendo rese intensamente riassuntive
assorbenti il dato biologico e quello favolistico:al punto da accreditare una teoria sull'organizzazione archetipa
della psiche, indicando di conseguenza fascinosi raccordi tra materia prima ed inconscio.
Carlo Milic
...La pittrice Loredana Riavini è stata prima una cantatrice del piccolo mondo carsico, ora invece di quello istriano,
dell'interno. La sua poetica si potrebbe accostare ad alcuni particolari sparsi nelle pagine di quell'indimenticabile
scrittore che fu Fulvio Tomizza: la “lotria”, il portichetto viene sostituito da una pianta rampicante, rosse
selvatiche viti americane, ma pure un festoso glicine fiorito, non manca mai la panchetta di bianco calcare ...e
soprattutto case abbandonate, testimoni di una tragedia non facile da dimenticare. Questa è la sua poetica,
mentre la grammatica pittorica-dimentica di esperimenti modernistici-si esprime tendendo ad una sorta di realismo
quasi fotografico, per certi versi vicino al surrealismo degli scorci di Cittavecchia di unAldo Bressanutti...
Sergio Brossi